Da Dalì a De Chirico, da Purificato a Ventrone. Oltre cento capolavori dell’arte moderna italiana, è il “tesoro” della Biennale d’Arte contemporanea 2020/21 ‘Maestri del 900’ a cura di Alfio Borghese e Martina Bocconi. Un percorso espositivo ‘itinerante’, selettivo, al cui centro sta sicuramente la passione per la più innovativa pittura figurativa italiana del primo ‘900, ma anche l’approdo al concettuale. Artisti ben al di sopra della retorica ‘futurista’, ma un esplodere delle emozioni, le sole che in fondo riconoscono immediatamente la qualità e la rarità di un’opera. In questo percorso a piedi nudi di intima bellezza, armonia e spericolata creatività molti artisti della nostra terra di Ciociaria.
Anche Veroli ha apposto la sua firma con il pittore Paolo Gaetani, dalla sua svariata collezione è stata selezionata l’opera ‘Paese in festa’, olio su tela datata 2011. Il paese di Gaetani è un paese che non si delimita tra le lettere di un nome, è tutti e nessuno. Un paese, un paese ciociaro che ognuno potrebbe abitare. Un paese semplice come potrebbe disegnarlo la matita di un bambino, un paese senza clamore per l’urna del Santo già passato e la gente la si immagina assiepata ad aspettarla oltre quei palazzi. Palazzi in coro, alti e bassi di colore che non stride ma si rispetta. Colori della terra, della cenere e dell’aria immobile che si prepara alla sera.
Gaetani non ha bisogno di montagne e figure, tutto si arrende ai piedi di quel quadro. Solo una striscia di luogo schiacciata da pochi passi che non si affrettano e raccolgono l’essenza del paese in festa. La festa di paese, la banda, quella che procede lenta, estemporanea ed immediata. Quella che non ammette errori che non si possono correggere come in una poesia. Nella musica no, la banda non può sbagliare, ha le stesse regole della comunità. Le stesse regole della pittura, se stoni sei fuori dalla giostra. Nell’opera del pittore verolano si vedono case che ognuno di noi potrebbe abitare, cieli e terre (in)quieti che scivolano dalla tela e si mescolano a mani giunte nelle storie. Sono le storie che non si vedono ma si percepiscono.
Lo sguardo corre oltre la tela dove la chiesa attende a porte aperte il ritorno del suo padrone. Corre dietro i palazzi dove il palco è già montato e si attende la sera colorata di arancio e di limone, come le caramelle ammassate nei sacchetti dell’ambulante. Corre verso la curva dove il signore anziano che faceva il postino, con la sua camicia bianca e il bottone che sgomita nell’asola sulla pancia aspetta il suo momento per schioccare con forza i piatti, mentre i suoi compagni più giovani di musica, nelle prime file continuano a simulare la voce degli uccelli. Nessuna cosa qui ha una longitudine precisa ed è in questi luoghi che tutti ci riconosciamo.
Una serenità ligia senza ragioni, un messaggio di esistenza che resta e si disperdere nell’aria come nebbia. Ognuno di noi, anche il più agnostico, ha la sua chiesa, la sua banda, il suo paese. È la devozione con la quale abbiamo protetto e amato questi luoghi. Paesi che ci hanno nobilitato e dato un significato alle nostre esistenze. Ad essi ci siamo consacrati liberamente e senza pentimenti. E poi arriva il giorno di festa. Passa la banda.
Il paese di Paolo Gaetani è il nostro Paese in quell’attimo di gioia che insieme alla musica non chiede il conto.
Monia Lauroni