HOMEPAGE CRONACA Come oggi, 451 anni fa il Miracolo Eucaristico di Sant’Erasmo

Come oggi, 451 anni fa il Miracolo Eucaristico di Sant’Erasmo

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 Oggi per Veroli e per la Basilica di Sant’Erasmo sarebbe dovuto essere un giorno di gaudio, tra petali di fiori e canti osannanti. Sarebbe dovuto essere il giorno in cui quel miracolo si sarebbe ‘reincarnato’ nel cuore e nel corpo di tutti i verolani. Invece solo buio e silenzio. Era il giorno di Pasqua del 26 marzo del 1570 quando un prodigioso avvenimento si consumò sul calice. Nella chiesa di Sant’Erasmo era esposto il Santissimo Sacramento per le quaranta ore di pubblica Adorazione, in memoria delle altrettante ore nelle quali il Corpo di Cristo stette rinchiuso nel Sepolcro. L’Ostia consacrata, secondo il rito tradizionale, venne chiusa in una teca d’argento di forma cilindrica con coperchio a cerniera, e quest’ultima posta dentro un grande calice ministeriale, anch’esso d’argento, coperto con la patena. Il tutto, infine, fu avvolto in un elegante drappo di seta i cui lembi vennero raccolti e legati all’impugnatura del calice. Era tradizione che ogni confraternita della città andasse ad adorare per un’ora il SS. Sacramento esposto. Così gli iscritti alle Confraternite della Misericordia e della Buona morte, che precedevano quelli del Corpus Domini e quelli della Madonna, vestiti con i loro sacchi neri, si accinsero al loro ufficio e si posero tutti in ginocchio per pregare, recitare salmi ed orazioni. Ad un certo momento il velo, il calice e lo scatolino divennero trasparenti come puro cristallo. I presenti videro nel fondo della coppa del calice una stella molto splendente, la cui luce annientava quella delle candele della cappella: e sopra quella stella poggiava l’Ostia consacrata. A breve distanza di tempo l’Ostia si convertì in un fanciullo vestito di nero, semicoperto da una nuvoletta, che si sollevava sopra il calice, per poi ancora trasformarsi repentinamente in Gesù Cristo morente sulla croce. Alla vista di tali apparizioni, i presenti, tra lacrime e grida, pieni di meraviglia e timore, iniziarono ad implorare la misericordia di Dio. La notizia in breve tempo fece il giro della città. Accorsero immediatamente nella chiesa di S. Erasmo il Vescovo e le autorità cittadine. Numerosi altri devoti e curiosi affollarono l’ingresso della cappella dove avvenne il miracolo, tutti volevano entrare, tutti desideravano vedere ciò che stava accadendo. Molti poterono constatare di persona cosa avveniva, poiché le visioni soprannaturali, come attesteranno i testimoni chiamati a deporre, durarono per circa mezz’ora. Poi tutto ritornò come prima. Il giorno seguente, 27 marzo, alla medesima ora, la luce della stella apparve di nuovo in fondo al calice e poi scomparve. Tutti videro distintamente tre Ostie, di uguale grandezza e tangenti reciprocamente, sollevarsi dal calice. Queste a loro volta scomparvero lasciando il posto a tre fanciulli, dei quali quello centrale era più grande degli altri due; successivamente rimasero visibili una sola Ostia ed un Bambino. I fatti sopra riportati sono consultabili nel libro “I miracoli eucaristici nel mondo” (ed. Shalom, 2016). Un documento autorevolissimo, redatto dalla Curia immediatamente dopo i fatti, è conservato nell’Archivio della Chiesa di Sant’Erasmo. In esso, oltre ad essere descritto il Prodigio, sono conservate le testimonianze che descrivono le visioni e le guarigioni relative a questo Miracolo Eucaristico. Il calice dove fu esposto il Sacramento è custodito nella basilica mentre le sacre specie dell’Ostia miracolosa di Veroli, alla fine del XVII secolo, dopo 112 anni circa, furono consumate. Il prodigio avvenuto 451 anni fa permise alla basilica ernica di fregiarsi del titolo di “Basilica del Miracolo Eucaristico”. La fede del popolo verolano è un concetto vasto e smisurato. Non le è concesso fissarsi su un tempo che conta e numera i giorni terreni. Nella basilica di Sant’Erasmo, che si erge maestosa e nascosta tra i vicoli di Veroli oggi c’è solo un gran silenzio. Solo litanie mute di chi reclama il ricordo nonostante la pandemia. Perchè dire solo ‘grazie’ a volte non basta.

Monia Lauroni