Il 16 marzo 2002 morì a Roma il più grande genio del teatro italiano del Novecento. Carmelo Bene era nato sessantaquattro anni prima a Campi Salentina in provincia di Lecce. Lasciò giovanissimo il Salento per stabilirsi a Roma e da lì iniziò la sua strabiliante carriera.
Mitico l’incontro con Albert Camus per ottenere i diritti di rappresentazione e allestire il Caligola al Teatro delle Arti. Bene ottenne carta bianca dal maestro franco-algerino e Caligola del 1959 con regia di Alberto Ruggiero fu un successo con pubblico in delirio, e che la critica indicò con l’emblematico “E’ nata una stella! Finalmente un giovane grande attore!”. Carmelo aveva solo ventidue anni e già era in atto la sua opera di innovazione teatrale. La folgorante lettura dell’Ulisse di Joyce fece il resto: il libro gli “cambiò la vita in teatro e nella vita”. Nel primo romanzo del 1966 “Nostra Signora dei Turchi” si sente molto l’influenza del bardo irlandese che si svilupperà originalmente negli altri scritti di Bene.
Nel 1960 assieme a Sylvano Bussotti al Teatro della Ribalta a Bologna nacque lo spettacolo Majakovskij, il primo di una lunga serie. La rivoluzione concertistica prendeva forma e segnava un’altra tappa della carriera beniana. Di nuovo a Roma tra il ’61 e il ’63 Bene crea e gestisce il Teatro Laboratorio nel leggendario locale di Trastevere al numero 23 di piazza San Cosimato. A vedere gli spettacoli arrivano personaggi del calibro di Pasolini, Moravia, Elsa Morante, Ennio Flaiano, Anton Giulio Bracaglia e altri. Sempre del ’63 è l’allestimento del primo Amleto “pervertito” da letture laforgueane. Jules Laforgue assieme a Antonin Artaud è un altro “incontro” fondamentale per gli infiniti Amleto di Carmelo Bene che otterranno plausi anche dagli studiosi inglesi più affermati. Mentre in Italia il pubblico e la critica si spaccano in due, la rivoluzione teatrale copernicana di Bene fa proseliti e interessa i grandi filosofi francesi: Gilles Deleuze, Guattari e Klossowski scriveranno centinaia di pagine memorabili sul teatro di Carmelo, mentre J.P.Manganaro e l’italiano Maurizio Grande parleranno chiaramente di “nuovo stilnovismo”, ponendo il genio salentino tra i massimi autori di tutti i tempi. La messa in scena della Salomè di Oscar Wilde nel 1964 come sempre ebbe molte critiche negative ma le penne di Ennio Flaiano e Alberto Arbasino fecero giustizia su un allestimento e una interpretazione magistrali, uniche e rivoluzionarie. Nel 1967 inizia la parentesi cinematografica, dapprima con Pasolini che chiama Carmelo a interpretare Creonte nel suo Edipo re, poi come regista con il film liberamente tratto dall’omonimo romanzo Nostra Signora dei Turchi che vinse il Leone d’Argento al Festival di Venezia nel 1968. Seguì Capricci l’anno dopo, nel 1970 il capolavoro Don Giovanni, la versione cinematografica della Salomè nel ’72 e Un Amleto di meno nel ’73. Cinque film in cinque anni che con sforzo fisico e mentale portarono Bene a essere famoso in tutto il mondo sì da farlo tornare al teatro con rinnovato vigore. Ogni spettacolo diventò un evento unico e irripetibile; da segnalare oltre alle versioni televisive degli Amleto, l’Otello, Riccardo III, Pinocchio, Macbeth horror suite, Lorenzaccio (forse il più metafisico di tutta l’opera beniana), Ubu Roi, la Cena delle beffe. Nel 1981 Carmelo Bene esegue la famosa Lectura Dantis issato sulla Torre degli Asinelli di Bologna per il primo anniversario dell’orrenda strage alla stazione. E’ un successo senza precedenti: nessuno aveva mai letto Dante dinanzi a duecentomila persone. Dell’evento Bene prese spunto per scrivere la sua autobiografia Sono apparso alla Madonna. Il sogno del Nostro era di fare della Voce la struttura portante di tutto il nuovo teatro e lo realizzò. Il Manfred di Byron con musica di Schumann “recitato cantando” alla Scala di Milano è ancora oggi espressione d’arte che nessun altro è riuscito a realizzare. Ma Bene, lo sappiamo, era un genio. Nostro compito è di studiarlo e non perderne l’enorme eredità artistica e culturale.
Patrizio Minnucci