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Giotto, il dovere del genio

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L’intuizione delle novità rivoluzionarie del linguaggio pittorico di Giotto è assai precoce e la fama del pittore circola tra i contemporanei.

La prima menzione della sua grandezza si ha con Dante nella ben nota terzina dell’XI canto del Purgatorio, dove emerge con chiarezza la superiorità del giovane rispetto a Cimabue e, si può dire, il salto generazionale tra la vecchia e la nuova maniera.

Appena più tardi il Villani e il Cennini definiscono meglio la rivoluzione del linguaggio giottesco parlando del pittore come di colui che “rimutò l’arte dal greco al latino, e la ridusse al moderno”. Il che significava e significa che Giotto per primo in pittura si liberò della tradizione degli artisti della generazione precedente, in un percorso che diventa sempre più moderno avvicinandosi allo stile gotico.

Il pittore si allontana dagli artisti legati alla tradizione bizantina, sia pure tradotta e interpretata variamente e con alti esiti, per un linguaggio di sapore nuovo inteso come moderno che sammai aveva come paralleli la scultura di Nicola e poi di Giovanni Pisano.

Giotto organizza uno spazio reale che si fa sempre più preciso e ampio, con parti che anticipano le regole della prospettiva. Una spazialità che gli consente di dipingere paesaggi e ambienti precisamente misurati nei quali vivono i personaggi. Questi sono possenti figure che si presentano come statue dipinte, create con preciso e deciso segno di contorno, che costituisce il volume grazie al chiaroscuro, cioè l’intuizione geniale che sia la luce reale – osservata e studiata di volta in volta in rapporto all’architettura reale – a dare forma e corpo alle raffigurazioni.

Per questo Giotto più che altri rappresenta il rivoluzionario genio pittorico del medioevo.

Patrizio Minnucci