La stamperia con cui produrre i documenti falsificati era quella individuata in un rudere di Cervaro. Era proprio lì, secondo gli inquirenti, che avveniva la “materializzazione” dei documenti alterati ma del tutto identici agli originali. Carta filigranata, timbri di vari uffici pubblici italiani ed esteri ovviamente contraffatti, bollini prismatici di motorizzazioni estere, patenti in bianco e files sorgente per la predisposizione di libretti di circolazione: così per i militari la documentazione fiscale e tecnica (quindi anche quella relativa alle schede e ai libretti) veniva realizzata e messa in circolazione. E in alcuni casi le “provvigioni” richieste per ogni auto arrivavano fino a 2.000 euro: «Ma per tutto?». «No, per ogni macchina. Ma senza targa».
Secondo quanto accertato dalla Guardia di Finanza, la “provvigione” non era però fissa: in base a quanto rilevato nelle indagini, poteva essere in alcuni casi pari a 200 euro a vettura, in altri a 700. Fino, appunto, a salire (almeno nelle richieste) a 2.000 euro per i casi più “difficili”. Gli indagati, secondo la procura molisana, sapevano che il “lavoro” non era facile. E, a un certo punto lo si deduce dalle intercettazioni anche che il «”lavoro” sta per finire. È questione di giorni». Facendo intendere che occorreva sospendere, anzi chiudere, le attività. Secondo i magistrati molisani uno dei ruoli chiave è quello di Luigi Matrunola di San Vittore che «da una parte acquisiva richieste dei vari gruppi societari operanti nel settore della compravendita di auto in risparmio dell’Iva e, dall’altra, avrebbe diretto le varie fasi».
Per gli inquirenti, grazie a un lavoro certosino dei militari della Fiamme gialle, i ruoli erano ben disegnati: «Matrunola si sarebbe occupato dall’acquisizione delle varie pratiche auto da parte dei concessionari; Bifulci dello sblocco dei telati nell’Agenzia delle Entrate di Isernia; Iannone avrebbe curato la fase successiva all’immatricolazione, nelle varie motorizzazioni civili sostiene il gip al Dipartimento dei Trasporti Terrestri di Isernia e di altre città; Nardelli, invece, avrebbe avuto il compito di falsificare la documentazione». Poi c’erano Saidi, amministratore delle concessionarie nel Basso Lazio e altri amministratori del Napoletano. Oltre a Tedesco, a capo di una «società fornitrice degli autoveicoli in Repubblica Ceca, successivamente importati in Italia». Accuse, contestate agli indagati, ovviamente tutte da dimostrare.
I militari delle Fiamme gialle hanno scandagliato soprattutto messaggi WhatsApp e chat Messenger: in base sempre al costrutto accusatorio, le comunicazioni erano sempre molto attente. Difficilmente affidate ai “normali” canali: una precauzione che i militari hanno notato subito. E approfondito. Nella ponderosa attività d’indagine, però, anche alcune intercettazioni telefoniche, a completare il quadro già delineato attraverso vari sequestri documentali.