Don Giuseppe Morosini era un giovane sacerdote vincenziano che partecipò alla resistenza contro i nazisti durante l’occupazione tedesca della Città eterna. Amava la musica e avrebbe voluto fare il missionario. Ma le circostanze drammatiche di quegli anni lo condussero ad adoperarsi per dare aiuto e rifugio ai perseguitati e agli ebrei di Roma “Città Aperta”. Il 19 luglio del 1943 Roma subisce i primi bombardamenti alleati e don Morosini si trova da subito in prima linea ad assistere centocinquanta bambini, lasciati senza mezzi di sostentamento, raccolti nella scuola Pistelli.
Dopo l’8 settembre entrò nella resistenza romana prima come assistente spirituale, ma in seguito riuscì anche ad aiutare procurando armi e vettovagliamenti. Era in contatto con la “banda Fulvi”, comandata da un ufficiale dell’esercito italiano, il tenente Fulvio Mosconi, gruppo che era attivo a Monte Mario, e dipendeva da Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo. Segnalato da un delatore, Dante Bruna, infiltrato dalla Gestapo tra i partigiani, che fu ricompensato con 70.000 lire, fu arrestato il 4 gennaio del 1944 insieme all’amico Marcello Bucchi. Detenuto a Regina Coeli nella cella n. 382, Morosini fu accusato di spionaggio, possesso di armi, deposito di esplosivi, nascosti nello scantinato del Collegio Leoniano.
Nel carcere era ospitato, nella stessa cella, Epimenio Liberi, un giovane commerciante che aveva partecipato ai combattimenti di Porta San Paolo e che era entrato nella resistenza nelle file del Partito d’Azione. La moglie era in attesa del terzo figlio. I due strinsero amicizia e don Morosini scrisse in carcere per il bambino, che doveva nascere, una celebre Ninna Nanna per soprano e pianoforte. Liberi fu fucilato alle Fosse Ardeatine il 24 marzo. Sottoposto a torture perché rivelasse i nomi dei suoi complici, Don Morosini non solo non parlò ma, con Bucchi, cercò anzi di addossarsi ogni colpa del movimento.
Il 22 febbraio il tribunale tedesco lo condannò a morte. Nonostante le pressioni esercitate dal Vaticano, fu fucilato il 3 aprile 1944 a Forte Bravetta. Nel plotone di esecuzione composto da 12 militari della PAI (Polizia dell’Africa Italiana), all’ordine di “fuoco!”, 10 componenti spararono in aria. Rimasto ferito dai colpi degli altri 2, don Morosini fu ucciso dall’ufficiale fascista che comandava l’esecuzione con due colpi di pistola alla nuca.
IL 15 febbraio 1945 il conferimento della MEDAGLIA D’ORO AL VALOR MILITARE con la seguente motivazione: «Sacerdote di alti sensi patriottici, svolgeva, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, opera di ardente apostolato fra i militari sbandati, attraendoli nella banda di cui era cappellano. Assolveva delicate missioni segrete, provvedendo altresì all’acquisto e alla custodia di armi. Denunciato e arrestato, nel corso di lunghi estenuanti interrogatori respingeva con fierezza le lusinghe e le minacce dirette a fargli rivelare i segreti della resistenza. Celebrato con calma sublime il divino sacrificio, offriva il giovane petto alla morte. Luminosa figura di soldato di Cristo e della Patria.» — Roma, 8 settembre 1943 -3 aprile 1944.
Il 2 aprile del 1954 il corpo di Don Giuseppe Morosini viene traslato dal cimitero del Verano, dove era stato sepolto, a Ferentino. Qui riposa nella Chiesa di S. Ippolito, dove risiedeva la Congregazione dei Missionari di San Vincenzo de’ Paoli, alla quale Don Morosini apparteneva.