La raccolta di liriche di Monia Lauroni “Disordine”, ornata dalle splendide fotografie in bianco e nero di Antonio Grella – tutte focalizzate magistralmente su dettagli artistici della bella Veroli -, è un unicum nella nostra storia della letteratura in versi. L’idea vincente di abbinare poesie in versi a poesie in immagini con lo stesso titolo è il primo punto a favore del volume. Disordine è la prima e l’ultima parola della raccolta di fiori, di questa antologia (dall’etimo ànthos lègein), che dà al libro quel senso di infinito e incompiuto a un tempo.
Quel poco e quel molto che vi si trova imporrà una constatazione in ogni lettore percettivo: le poesie di Monia Lauroni (edite da Davide Strambi e patrocinate dal Comune di Veroli) appartengono a quanto di più bello si sia mostrato nella poetica italiana degli ultimi anni. La Lauroni – avrebbe scritto Ceronetti – è un’imperdonabile come Cristina Campo, Marianne Moore, Hofmannsthal, Benn, Simone Weil e Emily Dickinson; la passione per la perfezione, quel demone che si impadronisce solo degli spiriti alti, affiora in ogni verso. Non altrimenti la scrittrice verolana avrebbe potuto cullarci e strattonarci in queste pagine di sapienza del concetto e del verso, mirabilmente espressi con alambicchi saffici, ritmati da cadenze che Nietzsche percepiva come spirito della musica, intrinseco alla lirica di valore. Sì, anche di musica e musicalità bisogna parlare dinanzi a “Disordine”, nel quale si ritrovano echi che partendo dai Greci arrivano alle assonanze holderlineiane e al verso dolce amaro di Amelia Rosselli.
Quella femminilità espressa poeticamente, riscontrata nella già citata Campo, fa della Lauroni una scrittrice-scrittore, sensibile al femmineo come la poetessa tramutata in maschio, creando quel raro colosso filosofico stilistico che solo le succitate anime hanno saputo realizzare. Monia entra in questo angusto filone a pieno titolo con la lingua perfetta e instabile che si dipana in tutta l’opera, come essere vivente, pulsante in Veroli, nella noia, la morte, l’amore, l’insonnia, la vita stessa della scrittrice, con accenti e visioni mai banali, descrizioni precise, incise, sulla pagina e nella mente del lettore. Non mancano i contrappunti icastici e sferzanti. Instabile come i versi artaudiani, la lirica, unita dal filo rosso dello stile personale e originale risolve il libro dolcemente, con una disillusione vicina a una Sibilla Aleramo, ulteriore voce imperdonabile. La sofferenza fatta poesia infatti ben poca fortuna ha riscosso nella letteratura al femminile, tuttavia dinanzi a “Disordine” non vi sarà pregiudizio che possa frenare una lettura stupefacente, destinata non solo ai verolani ma a tutti gli italiani mediamente istruiti.
È vero che il libro propone e dispone il lettore medio a ricorrere qua e là al vocabolario, ma ciò più che desistere incrementa curiosità e voglia di abbandonarsi a questi versi che, più si va avanti e più incantano, affascinano, corroborano e incitano a proseguire nel viaggio attraverso il mondo di Monia.
Patrizio Minnucci (tratto dalla prefazione)