“Quando ci sentiamo con le spalle al muro, quando ci troviamo in un vicolo cieco, senza luce e via di uscita, quando sembra che perfino Dio non risponda, ci ricordiamo di non essere soli”. Ne è convinto il Papa, mentre celebra la Messa della Domenica delle Palme e della Passione del Signore, per la prima volta, in una piazza San Pietro vuota. Non è facile orientarsi nel buio: si va a tentoni, si sbatte e si inciampa, e rialzandosi si sbaglia l’appiglio. Siamo come foglie al vento staccate dai rami, file ordinate in coda al supermercato o alla farmacia. Vestiti di silenzio e paura. Ancora increduli di essere caduti a terra mentre l’albero della vita viene accarezzato dalla primavera. Ci affacciamo alle finestre, ma quel poco che scorre lo fa così lentamente da sembrare non nostro. Un intervallo senza scadenza che ci mostra ogni giorno la stessa immagine. Si consuma vita senza accompagnarla. La giornata diventa una corsa a smentire e smorzare la schizofrenia di chi dice cose. Troppe cose. E noi dietro a scudi di plastica a gestire una situazione troppo grande e troppo vicina dal trasformarsi da tragedia a farsa. Regolamenti e ordinanze come pioggia di un aprile che non c’è, perenni contrasti che hanno perso la bussola. Indigestioni di infornate di notizie terroristiche: il virus si diffonde anche nell’aria; il virus ti raggiunge anche da otto metri; il virus è un cecchino; i gatti ti infettano, il virus vuole proprio te. Quando è il momento dei tristi numeri quotidiani, si è già sfiniti. L’onda nera non si arresta e lo scoraggiamento ci fa cannibali. Ché tanto c’è sempre qualcuno da sbranare. Un colpevole da dare in pasto a tutti per i troppi morti, per i contagi che non diminuiscono, per le strade troppo piene di gente, per i conti che non tornano mai. E’ uno schiamazzo che paralizza. E nel mezzo di queste notti, così mute al punto da riuscire a sentire il sibilo del fuoco, traccio a memoria nell’aria la linea di chi mi manca accanto. Un segno veloce, prima di perdere tutto di nuovo.
M.L.