HOMEPAGE CRONACA Diario di giorni di ordinaria epidemia

Diario di giorni di ordinaria epidemia

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 Spalanco la finestra, più che per cambiare aria per sentire il suono dell’aperto. Prima occhiata ai bollettini: salgono i morti, diminuiscono i contagi. Giuseppe Conte ormai è uno di famiglia, si è infilato nella mia casa come una suocera sapientona. A me gli sconosciuti in casa imbarazzano, cambio canale. Tutti dormono, i miei vecchi, le mie ragazze. Scarico il modulo per giustificare eventuali spostamenti. Ma per andare dove? L’hashtag IORESTOACASA lo sostengo e lo praticavo già prima del Covid 19, senza riserve e senza alcuno sforzo, aiutata a man forte dalla mia mezza misantropia, un po’ per colpa, un po’ per dolo. Accolgo persino con giubilo la stretta radicale imposta dal Governo, che limita a lungo termine la quasi totalità delle abitudini sociali ordinarie. In momenti di oggettiva difficoltà come questo, dicono, si può approfittare degli effetti collaterali positivi della crisi che, come etimologia insegna, aiuta a discernere, a fare selezione, a rivedere la gerarchia delle priorità nei comportamenti e nelle relazioni; ma pure a concedersi qualche innocua vanitas utile a distrarsi, e a mantenere una quota minima di ottimismo per il futuro. Gondole, sole, spaghetti, mandolini e pacche sulla spalla ci salveranno. Siamo o no italiani? La felicità ai tempi della crisi: non faccio cose, non vedo gente. La casa si desta e iniziano i bisogni degli umani. Mi vesto in fretta, non mi trucco, l’essenziale da comprare. Esco di casa con il passo che assumono i parenti dietro a un funerale. Le strade deserte. Solo i vecchi seduti davanti al bar, restano lì immobili come guardiani. Al supermarket si entra due per volta, qualcuno aspetta in fila con guanti sterili e mascherine a buon mercato. Sento i discorsi che arrivano ovattati: nessuno ha davvero bisogno di qualcosa, forse più la curiosità di vedere com’è dal vivo un paese in guerra. Forse solo il bisogno di predicare alla comare che la nostra gioventù è una pletora di dementi immaturi vocati solo a frivolezze e a sensi di sfida lanciati non verso i traguardi importanti della vita, ma ad imprese come il selfie sull’orlo del precipizio o all’esultanza barbara per il divieto appena violato. E che se moriremo, moriremo per colpa loro. È sempre difficile capire dove sta il giusto quando si oscilla tra due estremi. Torno a casa, presto le mani ad azioni che non hanno bisogno di essere compiute. Guardo le mie figlie in astinenza da quella vita di divertimento h24 e bellezza flawless forever. La retorica oggi viene facile, ma a volte non sbaglia. E’ solo il primo giorno di reclusione e già a metà giornata mi sento soffocare. Se fossi stata libera di andare sarei restata, solo per la posizioni di potere di lasciarlo io il mondo fuori. Non sono contaminata: sensazione liberatoria di aver fatto tutto giusto. E’ il momento di chiudere le finestre facendo rotta altrove.

M.L.