Alle 21.37 di sabato 2 aprile 2005, al primo vespro della Domenica della Misericordia, si spegneva dopo qualche giorno di agonia, Giovanni Paolo II. Indiscusso protagonista dell’ultimo quarto di secolo del Novecento, primo Papa proveniente dell’Est Europa, eletto nel 1978 quando ancora il Vecchio Continente era diviso in due dalla cortina di ferro. Dici anni dopo quella morte drammatica vissuta in diretta TV, seguita ora per ora da milioni di persone in tutto il mondo, da generazioni che avevano conosciuto soltanto lui come Pontefice, Karol Wojtyla è già santo. «Santo subito», come volevano i suoi amici e collaboratori, come desideravano in tanti nella Chiesa.
L’eccezionale e innegabile rapidità della beatificazione e della canonizzazione ha consacrato nella sua sfolgorante luce un pontificato lunghissimo, icona delle grandi sofferenze del secolo scorso, incarnato da un figlio di una nazione martire – la Polonia – che aveva sperimentato nella sua carne gli orrori del nazismo e del comunismo divenendo con Karol «il grande» anche simbolo di un’Europa in grado di ritrovare unità e nuovi più larghi confini. Il Papa dei record, il globe-trotter di Dio, il vescovo di Roma che ha trascorso una parte significativa del suo pontificato in giro per il mondo, il Pontefice capace di radunare folle oceaniche, in grado di rianimare una Chiesa che a stento stava uscendo dalla crisi post-conciliare, il Papa dall’umanità traboccante, dai gesti disarmanti…
Il decennale della scomparsa è passato un po’ in sordina, anche perché, probabilmente, tutto era già stato detto e in ogni modo possibile celebrato negli anni scorsi, prima con la beatificazione, celebrata dal suo primo successore, Benedetto XVI, e poi dalla canonizzazione, celebrata da Francesco. Certo, l’aureola della santità non cancella le ombre, inevitabili e quasi fisiologiche in un regno così lungo, che ha visto l’entourage più stretto del Pontefice polacco assumere un peso sempre maggiore con l’avanzare della grave e lunga malattia di Karol Wojtyla: sarà la storia, saranno gli archivi e i documenti a dire – in un futuro non si sa quanto prossimo – quanto l’indubbia santità del Papa si sia riflessa in coloro che lo circondavano, negli anni in cui il mondo veniva attraversato da cambiamenti epocali. Cambiamenti dei quali a suo modo san Giovanni Paolo è stato certamente protagonista.
Dieci anni dopo, possiamo fissare l’attenzione su tre elementi che oggi molto più che nel 2005 si stagliano. Sono tre delle tante sottolineature possibili. La prima riguarda la personale testimonianza di fede di Karol Wojtyla. Un uomo alieno da atteggiamenti clericali che viveva la preghiera con un’intensità tale da rendere visibile la sua quotidiana immersione in Dio e che rende per nulla inappropriata per lui la definizione di «mistico».
La seconda: Karol Wojtyla è stato un vescovo e un Papa del Concilio Ecumenico Vaticano II, che pur serrando le fila e chiudendo a certe fughe in avanti, non è mai indietreggiato e non ha mai dato spago a quelle tendenze oggi mediaticamente molto visibili che vivono nella nostalgia di un ancien régime, di una Chiesa fortilizio assediato, che si isola dal mondo specchiandosi in sé stessa, incantata non dal mistero di Dio ma dagli abbagli delle luminarie barocche.
La terza: Giovanni Paolo II, osannato dalle potenze occidentali fintanto che il suo messaggio era utile e utilizzabile nell’aspro confronto della Guerra Fredda, fintanto che le sue parole di uomo che aveva sperimentato il comunismo, è stato rappresentato come un mitico gigante mentre combatteva contro il Muro di Berlino. Ma è stato lasciato solo, drammaticamente solo, da quegli stessi che prima lo osannavano. È stato lasciato solo dai suoi vecchi «alleati» perché ha cominciato a tuonare contro la guerra, contro le guerre occidentali in Medio Oriente, contro le assurde missioni che hanno contribuito ad aumentare l’instabilità della regione con conseguenze oggi sotto gli occhi di tutti.
Il Papa malato, inerme e tremante che supplica – inascoltato – i potenti dell’Occidente di non fare la guerra, il Papa che insiste nel dialogo tra le religioni e non si rassegna allo «scontro di civiltà» è l’icona di un pontificato che, nella fedeltà al Crocifisso, ha conosciuto la spoliazione.
Fonte: lastampa.it