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“Il Cinema delle stanze vuote”, la malinconia come vocazione; di Isabella Cesarini e Luigi Iannone

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“Il cinema delle stanze vuote” è un viaggio reale, nel quale gli autori non cadono nel facile diletto del saggio per paragrafi; anzi, come scrive Donato Novellini nella prefazione, c’è un filo rosso che delinea e disegna la narrazione come un racconto da leggersi sdraiati sul sofà. I continui e affabili rimandi a film e caratteri già analizzati e spiegati fin dalla prima pagina, fanno sì che la lettura affascini sempre più, come un romanzo di cui si aspetta con emozione il finale.

Isabella Cesarini e Luigi Iannone in ciò mostrano l’avanguardia della saggistica, esuli da quel mondo intriso di note ai margini interminabili che cospargono i testi di molta critica ufficiale illeggibile. I nostri, viceversa, sono narratori come i cineasti che dipingono mirabilmente: leggeri, soffici, avvincenti, senza scadere mai nell’ovvio, nel già letto. Perchè lo stile che adottano è unico, avvolgente, inspiegabile se non lo si legge: i ritratti di Lars von Trier, Germi, Malle, Anderson, Tarkovskij, Carmelo Bene, Fellini, Bergman, corroborati dalla teoretica a monte che li contraddistingue, non portano alla pienezza della comprensione se non si legge “Il cinema delle stanze vuote”. Questo è il difficile traguardo raggiunto dagli autori, attraverso spiegazioni superbe dei riferimenti intellettuali dei grandi registi: Nietzsche, Kierkegaard, Cioran ci arrivano intatti e vicini grazie allo studio profondo della Cesarini e di Iannone.

Il libro è da stipare nella prossimità del nostro teleschermo quando, intenti alle sequenze dei film, abbiamo dubbi, perplessità, stati d’animo incomprensibili mai sentiti prima. La lettura de “Il cinema…”, ci regalerà ciò che ci manca.

Patrizio Minnucci