“Ho visto un angelo nel marmo ed ho scolpito fino a liberarlo”. Una citazione di Michelangelo Buonarroti che ‘capovolta’, potrebbe descrivere in un’immagine il lavoro dello scrittore alatrense Patrizio Minnucci: “Ho visto un demone nelle strade ed ho scritto fino a imprigionarlo”. Niente di meglio riesce a Minnucci, e nessuno come lui, a catturare spaccati di vita in una società adulterata. In Stigma – Bagattelle di Vita agra ( Davide Strambi Editore), in uscita a brevissimo, si riscontrano in una forgia quasi teatrale, ritmi ed essenzialità. Con una commistione fra ironia amara e drammatica critica sociale tipica dell’autore. Scrittore di grana finissima, Minnucci accorda ritmi ed essenzialità. Sembra vivere più vite o forse nessuna, risultando diviso tra l’essere scrittore, io narrante, personaggi autentici e inquieti dall’anima sfibrata. “Stigma” è dedicato allo scrittore Luciano Bianciardi, più un invito a rispolverare i suoi scritti decisamente attuali e collocarli nel giusto grado di considerazione che meriterebbero. Il nuovo libro di Minnucci può essere inteso come un “pamphlet” amaro, disilluso, rabbioso, ironico contro la società che ‘etichetta’ persone e personaggi. Minnucci non fa sconto a nessuno, neppure al mondo editoriale che lo scrittore conosce molto bene. Lo stile intrigante e coraggioso, quasi morbosamente agitato, è più di una firma. Una provocazione socio-culturale raccontata con prosa che si potrebbe definire ‘mista’. Voli virgiliani e ‘tonfi’ bukowskiani a seconda del personaggio che parla. Ognuno con la sua stigmate interiore, ognuno con le sue lesioni inflitte o autoinflitte. Patrizio Minnucci infila il dito in quelle piaghe. Ma non per incredulità, per renderle sanguinanti al punto di diventare mortali per poi rivivere e poi ancora morire. L’autore sceglie personaggi e luoghi in cui l’unica bellezza è la straordinaria varietà del ‘brutto’. È l’unico spettacolo che conosce veramente, che non smette di stupire e non conosce migliorie. Osservazioni che giungono alla conclusione che le bassezze umane godono sempre di ottima salute. A fine pagina sembrano ogni volta scorrere titoli di coda come portati a vista da un vento ansimante: un sacchetto nero, una carta di giornale, una farfalla morta, una plastica di sigarette. E le vite, le vite tragicomiche degli ‘stigmati’. Quelli che solo quando superano l’ultima distanza si sentono salvi. Come sfondo, la sua amata Alatri. Un eterno microchimerismo tra l’autore, le pietre bianche, la sua gente.
Monia Lauroni