Non c’erano i ragazzi ed i bambini delle scuole insieme ai maggiorenti cittadini alla cerimonia di commemorazione dei 106 anni dalla Grande Guerra. Non c’era pubblico, le note dell’Inno di Mameli e dalla struggente “Canzone del Piave” non hanno scandito l’aria ferma del mattino. Eppure, anche se in forma ristretta e privata, l’amministrazione comunale e la Polizia Municipale guidata dal comandante Massimo Belli, hanno comunque commemorato significativamente quella data. Era il 24 maggio 1915. All’alba, gli Italiani passano il Piave diretti al fronte. Ancora convinti che la guerra già iniziata non sarebbe durata che pochi mesi.
Il Sindaco Simone Cretaro nel ricordare tutti quei soldati che persero la vita nel primo conflitto mondiale, ha rivolto uno speciale pensiero agli studenti e all’intero mondo della scuola che ogni anno, prima del Covid, animavano la commemorazione. Non c’è stata famiglia in Italia che non abbia visto partire i propri affetti e abbia poi purtroppo avuto un lutto. Anche Veroli ha sacrificato la vita di tanti concittadini, spesso proprio giovani ragazzi. Da qui la speranza e l’augurio del Primo Cittadino che che il loro sacrificio non venga mai dimenticato, anzi, venga ricordato a lungo come gesto estremo per la conquista della libertà e della pace odierna. Una cerimonia sentita, vissuta con tangibile partecipazione e rispettoso contegno, iniziata con la celebrazione della Santa Messa nella Basilica di Santa Maria Salome e conclusa dinanzi al Monumento ai Caduti. Il destino di una canzone a volte è meno prevedibile di quello degli uomini o di quello di una guerra.
La sorte de “La leggenda del Piave” fu piuttosto eccezionale. Composta da uno stornellatore e poeta napoletano, Giovanni Gaeta, probabilmente con penna, carta, mandolino e macchinetta del caffè, l’autore forse non immaginava affatto gli effetti di quella composizione, scritta tra l’altro molto dopo l’entrata in guerra degli italiani, era infatti il 1918. La canzone e quel “non passa lo straniero” – augurio di cui si aveva davvero bisogno – piacque tantissimo al punto che in un telegramma il generale Armando Diaz scrisse all’autore: “Mario, la vostra Leggenda del Piave al fronte è più di un generale!”. Per la grande popolarità e la carica che riusciva ad infondere fu adottata – dopo che l’Italia nella seconda Guerra mondiale ruppe l’alleanza con i tedeschi, non potendo ricorrere di nuovo alla Marcia Reale – come Inno nazionale. Sarebbe potuto diventare Inno nazionale effettivo scalciando Il Coro del Nabucco degli schiavi ebrei di Verdi, ma nel 1946 saltarono fuori Mameli e Novaro con il Canto degli Italiani. La Leggenda del Piave venne scartata non per motivazioni lirico-tecniche o concettuali, ma perchè pare che l’autore, Gaeta, si fosse rifiutato di comporre l’inno nazionale della Democrazia Cristiana ed un certo Alcide De Gasperis, per tigna, ci mise lo zampino. Resta comunque ancora vivo nella testa e nel cuore degli italiani quel Piave che mormorava. Molti di quei fanti che il 24 maggio 1915 attraversarono il Piave, nel novembre 1918 tornarono a casa trovandosi davanti un mondo diverso. Un mondo che tantissimi altri non ebbero la fortuna di vedere.
Oggi abbiamo di fronte un’altra battaglia. Prima o poi, anche noi, torneremo a riprendere tutto ciò che abbiamo lasciato. Perché anche così, graffiato nelle nostre incertezze, attraverseremo il nostro ‘Piave’ e torneremo a vivere le nostre vite. Più ricchi forse di come eravamo partiti.
Monia Lauroni