Il pittore verolano Paolo Gaetani tra gli artisti presenti all’evento ‘Anagni si ricorda in Dante’, una manifestazione artistico-letteraria che si terrà il prossimo agosto ad Anagni, promossa dall’Assessorato alla Cultura locale in sinergia con l’Associazione Culturale Edizioni Paguro.
‘Tra Inferno e Paradiso’ di Paolo Gaetani non trova connotazioni spaziali. Non ne ha. Dante assume l’identità di esule, Gaetani non ha bisogno dell’uso dei mortali nè dell’assenza degli stessi. il Dante di Gaetani è un Dante ‘Adamo’, solo e primo. Nell’opera Dante è signore di se stesso, segno di meteora e finitudine, proprio nel momento in cui la parola vede trasporre le sue funzioni dalla condizione di finitezza che ha retto il passato e l’attraversamento infernale o l’inizio del primo vagito del peccato. Non si ha infatti l’esatta cognizione del prima e del dopo. Questo mistero rende l’opera ancora più carica di pathos.
L’assenza d’ogni assenza, il rosso incandescente liquefatto nel tremore di monte dal profilo ernico che brucia, di ventre che forma, di sole che non splende senza tregua d’ombra. Dante qui c’è stato o deve ancora esserci? Conosce già quei fondali vibranti come se avessero pure loro un sangue bollente? Dante è nei lampi di un’esplosione che restituisce alle cose un raggio di vita solo a tratti, abbassato dai toni cupi di un bosco d’altura, dove gli uomini non vanno. Un corpo che vuole segnare i confini tra i colori di due mondi opposti, tenta una strada, si perde in filamenti, ma non ce la fa. C’è un sentimento che viene prima del piacere e del dolore. Attraverso la semplificazione delle forme, l’immagine si carica di una profonda essenza spirituale, lontana da ogni riferimento cognitivo.
L’opera diventa stallo libero di segni aggregati senza nozione né sintassi. Le forme non servono più a riconoscere, ma a suscitare uno stato di conoscenza emotiva da cui individuare e generare forme nuove. Qui gli uomini hanno perso la forma e il nome. Hanno perso l’uomo. Di loro sono rimaste le tracce di un muto lamento e di una osannante e lontana preghiera che era prima della loro lingua e delle loro mani. Di loro e di tutte le cose. Non resta che il pensiero in un sentimento in bilico perpetuo tra la paura e la speranza. La continua ricerca umana dell’ulteriore si chiude nel cerchio dell’inspiegabile e dell’irragiungibile, in un percorso segnato da tracce di assenze, sottrazioni, siccità e rinascite, domande solo andata.
Una domanda che sorge alla vista dell’opera di Gaetani: “Dov’è Dante?”. Non toccatelo. Non chiamatelo. Non vi risponderà. Dante non c’è, non è qui. Dante in questo dipinto è “fuori”. Nell’Abisso che solo lui sa. Tra Inferno e Paradiso, senza luci e senza fiamme. Senza stelle né dannati. Un lavoro faticoso ed umile quello dell’artista. Degli Artisti come Gaetani. Un lavoro che ha la stessa sostanza di quello di chi decide di scalare le vette più ardite, o di scendere nelle profondità degli abissi per esplorarne i segreti e riportali in superficie. Come fece Dante. Segreti dell’animo umano, che si arricciano come punti di domanda ai quali Paolo Gaetani non pretende di dare alcuna risposta. E’ la verità della pittura che diventa codice assoluto con l’ineluttabile senso di una domanda a cui nessuno saprà rispondere: dov’è Dante…
Monia Lauroni