Una storia che ha sfondato la cancellata dell’indifferenza. Forse perchè sembra inaccettabile che un titolo di studio, una specializzazione, un linguaggio sopraffino dormano in una tenda. Forse perchè fa ancora scalpore che i poveri non siano solo quelli che non conoscono a memoria il trattato di Antifonte o solo perchè la storia di Mariano, purtroppo non diversa da tante altre, ha davvero qualcosa di tristemente speciale. Fatto sta, ed è cosa bellissima, che tanti a Frosinone hanno riaperto una speranza tra le grinze di una vita che pareva destinata a restare invisibile e solitaria. C’è ancora amore nel cuore della gente, c’è ancora posto per ‘gli altri’. “Inaccettabile, chi può faccia qualcosa”, una storia scovata per caso, una frase e subito il web si mobilita per lui. Qualcuno porta viveri e coperte ed associazioni del territorio sono al lavoro per procurargli un tetto. A metà strada esatta fra Freud e la Leggenda del Re Pescatore. E a metà strada esatta fra la Puglia e il mondo intero, dove la comunicazione e i bisogni di empatia che innesca incontrano l’immenso bouquet del web, cioè a Frosinone. Una città che lui, Mariano, ha scelto per diventare editor di un podcast molto particolare. E’ quello con cui Mariano, 53enne senza fissa dimora da ornai 11 anni, parla con se stesso per mettere una toppa alla cosa che più di tutte straccia l’anima quando la vita prende pieghe impreviste: la solitudine. Il suo pod cast si chiama ‘L’Anima in Mente’ e lui, Mariano, lo ha messo in piedi utilizzando il suo vecchio cellulare, unico scoglio di modernità apparente in una vita che giocoforza si è fatta primeva, essenziale, scarna. Tanto scarna da tenere in gabbia una mente cangura e fertile che Mariano si porta appresso fin da quando la sua vita percorreva binari più certi. Con gli studi in giurisprudenza, poi in psicologia, poi ancora con l’archetipo delle vita tranquilla e senza procelle: l’impiego in banca. Poi quella stessa vita che sembrava ormai tracciata ha preso altre strade, che non sono quelle comode di 14 mensilità. E come per contrappasso, la sua antica familiarità con i meandri dell’animo umano gli torna utile. Necessaria. Mette in piedi quel piccolo pod cast aperto, lo posta e ogni giorno parla di sé, per aiutare sé a vivere e gli altri a trovare un appiglio. Mariano lo hanno scovato Matteo Ferrazzoli e Federico Pernarella per il Messaggero, in quella Frosinone di cui volevano documentare le sacche di incuria e di emarginazione. Invece ci hanno trovato lui, l’Eelefante Bianco. Mariano non si commisera, guarda la vita con tagliente intelligenza. Come un poeta puro; parla senza vanità, senza alcuna ambizione né di plauso né di gloria; è un personaggio walseriano che si alza la mattina e trascorre tutto il giorno per le strade, a scavare con lo sguardo nella vita nascosta del mondo. Uomo libero, mente straordinaria, un’anima preziosa. E’ la strada che gli detta, scoprendo nei movimenti uguali e sempre nuovi di alberi, strade e persone il passo fedele delle cose che non lo conoscono. Come le sue gioie sparite in tristezza come sassi lungo un dirupo. Mariano lo sa che le cose vicine sono molto più lontane di quanto immaginava: la casa, la felicità, un impiego, le persone più care: è sempre sulla loro soglia che inizia il deserto. Dalla sua terra se ne è andato come gli uccelli, che quando sanno di dover morire si mettono in silenzio e in disparte da chi continua a vivere. Ma non è la morte che lo spaventa, neanche il cielo che scurisce all’improvviso, Mariano ha paura del silenzio dei vivi e della loro memoria a volte così breve. Nei suoi post meravigliose considerazioni sulla natura umana, sulla vita, sulla speranza che col suo fare beffardo che lo insulta ogni giorno, alla fine sa riesce a tenerlo sempre a galla. E Mariano pare galleggi con naturalezza, sarà per il principio d’Archimede, sarà che possiede un peso specifico inferiore ai pensieri nei quali la sua mente è immersa. Da un parco abbandonato, placido e sonnolento, erba e vento fanno da anfitrioni, pronti a sorreggergli i pensieri con garbo in giornate difficili dentro le quali Mariano non si vuole adagiare. E’ quel bisogno prepotente di mutare pelle, di gridare al mondo che nulla è finito, è quella sfrenata speranza di un giorno migliore che ogni sera lo trova sempre lì, con il suo cellulare raggrinzito, inebriato di parole e di vita come un fumo di incenso che esala senza requie.
Monia Lauroni
Ph: Lucio Montini