<<E lui era costretto sempre di più a rintanarsi nel suo mondo di finzione.» Chi? Hans Heigel, il protagonista di La bambina e il nazista, di Franco Forte e Scilla Bonfiglioli. Lui è quello che si chiamerebbe un burocrate dello sterminio. Confinato nel presidio di Osnabrück, lontano dai roghi, dalle esplosioni e dalla violenza della seconda guerra mondiale, benché abbia il grado di tenente della SS, non fa che compilare documenti, tra cui quelli che costituiscono la contabilità della shoah. Per sua fortuna, anche il capitano Franz Meyer, il suo superiore, non aderisce più da tempo agli infami sogni di supremazia tedesca nutriti da Hitler. Tanto che non esita a consigliare a Hans di procurarsi degli antibiotici per curare la figlioletta Hanne, di otto anni, affetta dalla tubercolosi. Un viaggio a Berlino si rivela infruttuoso. Himmler e la sua corte di demoni non si curano della salute di una bimba sconosciuta. Anzi, dice a Hans un tale comandante Fromm: «Spero tu capisca che non c’è spazio per la debolezza, nella Germania che stiamo costruendo». Infatti Hanne muore. La madre, Ingrid, sprofonda in una disperazione senza ritorno, patologica. Hans viene spedito a Sobibór, dove, da burocrate dello sterminio, stavolta lavorerà sul campo… di concentramento. Compilerà elenchi di gas letale e prigionieri ebrei sui quali sarà impiegato per attuare la Soluzione Finale.
Al dolore per la perdita di Hanne, in Hans è subentrato un orrore stemperato di impotenza. Finché a Sobibór giunge Leah, un’ebrea olandese coetanea di Hanne e a lei molto somigliante.Hans realizza che non si tratta semplicemente di una possibile sostituta della figlioletta perduta. Sviluppa per la bimba un attaccamento sincero, nuovo, che gli rinvigorisce lo spirito. E decide di salvarla ad ogni costo dalla camera a gas, con la complicità di una prigioniera ucraina, Larysa. Ma deve vedersela con la ferocia di Kurt Vossel un maggiore che assolve sadicamente al suo compito di aguzzino,e ritiene che l’interesse di Hans per Leah sia da pedofilo. È uno stigma più sopportabile del rischio che la piccola venga destinata ai forni crematori. Per tenervela lontana, Hans è costretto a trovarle di volta in volta dei rimpiazzi sugli elenchi della morte. Questo tocca a un uomo buono, il cui nominativo meriterebbe di figurare un giorno allo Yad Vashem, il museo israelita dell’Olocausto, fra quelli dei cosiddetti “giusti”, i gentili che si prodigarono per la salvezza degli ebrei.
Sono le pagine più ineguagliabili di La bambina e il nazista, dove la dedizione di Hans a Leah lo costringe a raschiarne il nome dalle liste mortifere e sostituirlo con quelli di altri innocenti. Per costruire una narrazione così avviluppante sul piano emotivo, Franco Forte e Scilla Bonfiglioli utilizzano un linguaggio che include il lirismo, l’introspezione e la tragedia. Con il risultato di apportare al libro una densità introvabile nei romanzetti italiani che circolano di questi tempi. Né potrebbe essere diversamente, quando collaborano un veterano della scrittura ededitor magistrale, e un’autrice che vanta esperienze recitative e teatrali.
Oggi che si parla troppo e spesso senza reali cognizioni di rigurgiti nazisti, vale di più leggere questo libro per comprendere il senso del famoso detto di Leopold Bloom nell’Ulisse, di James Joyce: «La Storia è un incubo dal quale cerco di risvegliarmi».
Enzo Verrengia
Franco Forte e Scilla Bonfiglioli, La bambina e il nazista (Mondadori, pp. 314, Euro 19,00)