Sui loro visi è appena spuntata la prima barbetta, non sono spicciafaccende scafati come Mister Wolf di Pulp Fiction, ma come lui (anche se il loro idolo è Elon Musk, l’inventore della Tesla) hanno un solo cruccio: risolvere problemi. Loro sono Francesco Maura, 16 anni; Leonardo Pulciani, 16 anni; Luca Iacovissi, 15 anni; Cristian Colasanti, 18 anni. Tutti studenti del liceo di Ceccano.
Si definiscono creativi, ma in verità, nonostante la tenera età, sono già una infinità di cose: informatici, matematici, designer, apprendisti ingegneri, artigiani del futuro, manager in erba, liberi pensatori. Sapere liquido, trasversale, veloce, multitasking, ma con molta sostanza. Che da anni mettono al servizio degli altri.
La storia di Francesco, Leonardo, Luca e Cristian cominciamo a raccontarla dalla fine.
I quattro studenti, che da tre anni hanno costituito un team chiamato Engine for you, si sono aggiudicati il primo premio di un concorso promosso dall’Università Roma Tre e dalla Fondazione Mondo Digitale.
«In gergo queste kermesse si chiamano Hackathon – raccontano -. Sono delle convention in cui esperti di informatica, riuniti in squadre, sono chiamati a risolvere i problemi entro un tempo stabilito che può variare da alcune ore a interi giorni. Noi avevamo 8 ore a disposizione per mettere a punto un’idea per l’abbattimento delle barriere architettoniche e l’inclusione sociale degli invalidi».
L’idea che è valsa il primo premio ai ragazzi di Ceccano consiste in un paio di occhiali speciali, T-Glass, che grazie a telecamere, sensori e intelligenza artificiale riesce a comunicare al non vedente, attraverso auricolari a conduzione ossea, cosa si trova davanti a lui in tempo reale. Il progetto fa il paio con quello che aveva permesso in precedenza al team del liceo di Ceccano di superare la fase regionale: un paio di braccialetti collegati a google maps che attraverso delle vibrazioni consentono al non vedente di orientarsi in città lungo un percorso predefinito.
«Un altro premio – raccontano ancora – ci è stato assegnato per un’applicazione che attraverso lo smartphone consente di monitorare le condizioni di salute degli anziani. Abbiamo ricevuto pure una proposta di investimento». E non è stata la sola.
Un’azienda che si occupa di informatica per le scuole si è interessata a un altro loro progetto: un allarme a comando vocale. Basta dire che è in corso un incendio o un terremoto per far attivare un sistema di evacuazione che attraverso gli altoparlanti indica il percorso per mettersi in salvo.
«Invece di lamentarsi sui social o in un’assemblea che qualcosa non va bene, trova una soluzione, perché delegare?», dice Francesco. Perché delegare, ad esempio, il rinnovo dell’aula di informatica? Ci hanno pensato loro. «Abbiamo messo i pc nuovi nelle aule e quelli vecchi li abbiamo ricondizionati per l’aula d’informatica. Tre mesi di lavoro».
La storia di questi studenti e anche la storia di una scuola, il liceo di Ceccano, dove da tempo si è fatto largo un principio: chi sa, insegna altri, anche a costo di ribaltare i ruoli. Così è capitato con l’informatica: sono stati gli studenti, realizzando un sito tutoriale, a formare i professori sui principali strumenti informatici.
Ed è partita sempre dagli studenti l’idea di utilizzare cellulari e computer portati da casa a fini didattici. È il sistema BYOD acronimo che dall’inglese significa porta il tuo dispositivo. Il liceo di Ceccano è stato il primo istituto del Lazio ad adottarlo: gli smartphone vengono utilizzati anche per fare i compiti in classe. «Vietare l’uso del telefonino a scuola – argomentano i ragazzi – è come vietare quello delle auto perché potresti fare un incidente. Non ha senso. Bisogna educare gli studenti all’uso dei telefonini».
Un percorso iniziato negli anni passati dall’associazione di studenti Sirio e che Francesco e gli altri stanno portando avanti: «Adesso stiamo formando noi gli altri compagni, così quando ce ne andremo noi, ci saranno altri che porteranno avanti i progetti».
Saperi nuovi, tecnologici, ma trasmessi in nome dell’antico e umanistico principio della condivisione, in cui la differenza non la fanno i mezzi a disposizione, ma la sensibilità delle persone: «Tutto questo – confidano gli studenti – sarebbe stato impossibile senza un professore curioso e attento come il vice preside Pietro Alviti»
pm