HOMEPAGE CULTURA Luca, evangelista e ‘pittore’

Luca, evangelista e ‘pittore’

1707
CONDIVIDI

Luca era nato ad Antiochia di Siria, parlava greco e esercitava la professione di medico; si convertì al cristianesimo dieci o quindici anni dopo la Pentecoste e fu, almeno saltuariamente, uno dei collaboratori di Paolo di Tarso, che seguì nei suoi viaggi in Palestina, Macedonia, Bitinia e a Roma tra il 50 e il 58 d.C.

L’analisi del linguaggio utilizzato nelle sue opere ha posto in evidenza come si trattasse di una persona fortemente imbevuta di cultura letteraria greca, fatto che non esclude di per sè una sua origine ebraica, giacchè si è rilevato come proprio alla comunità dei giudei ellenofoni di Antiochia siano appartenuti diversi rabbini che si resero celebri nel campo della medicina.

Indubbiamente se Luca fosse stato uno di questi pare piuttosto inverosimile che si interessasse anche di arti figurative. Eppure per molti secoli l’evangelista non soltanto fu considerato anche un pittore, ma addirittura venne lodato come iniziatore della tradizione artistica cristiana, la cui opera dava alle immagini sacre e, per derivazione, a coloro che le producevano, un ruolo e una autorità di primissimo rilievo; al punto che, quando nel Due-Trecento nacquero in Italia le organizzazioni professionali, le Arti o Confraternite, proprio sotto l’intitolazione al santo pittore Luca si raccoglievano i praticanti del pennello. Questi non esitarono a affermare che la loro attività, benedetta da siffatto patrono, era attinente alla sfera spirituale e garantiva loro l’appellativo di “manifestatori del sacro”.

Come è stato possibile che un personaggio tutto sommato oscuro della Sacra scrittura abbia subìto una simile metamorfosi al punto da condizionare la coscienza stessa che gli artisti del medioevo ebbero di sè e del proprio lavoro?

La leggenda di San Luca pittore affonda le sue radici nel complesso fenomeno storico noto come “controversia iconoclastica”, espressione con cui si designa un periodo turbolento della storia bizantina (730-843 d.C.) che fu dominato dal tentativo da parte del potere imperiale di Costantinopoli di indebolire alcuni settori della Chiesa, dichiarando l’illiceità del culto delle immagini in quanto pratica idolatrica.

L’azione politica che comportò episodi di distruzione massiccia di icone e altre opere d’arte, si scontrò fin dagli inizi con la resistenza di tutta una parte della società bizantina, rappresentata dall’attività e dagli scritti dei pensatori “iconoduli”, i quali  si impegnarono nell’elaborare un apparato dottrinale entro cui anche le immagini sacre trovassero una collocazione degna e legittima. In questo contesto la riflessione si sviluppò sostanzialmente su due livelli distinti: alla speculazione puramente teologica si affiancò una ricerca minuziosa di quelle antiche tradizioni che sembravano avvalorare l’idea di un’origine apostolica dell’uso delle effigi sacre nella vita religiosa cristiana.

Il racconto di San Luca preoccupato di dare alle generazioni future di cristiani la possibilità di mantenere memoria dell’aspetto terreno della Vergine e di Gesù, eseguendo egli stesso alcuni ritratti “dal vivo”, che erano stati conservati per secoli a Gerusalemme e a Roma dando origine a una catena ininterrotta di repliche e copie, da cui si era sviluppata la tradizione iconofrafica cristiana, è senza dubbio affascinante.

Il senso immediato del racconto è evidente: si doveva riconoscere che la pittura di icone era attività venerabile perchè trasmessa dai Padri e risalente nientemeno all’iniziativa di un santo evangelista.

Patrizio Minnucci