Sulla rivista Antimicrobal Agents and Chemotheraphy è stata pubblicata una relazione redatta da un team di scienziati del Dipartimento della Difesa statunitense, i quali hanno riscontrato in una donna di 49 anni residente nella Pennsylvania, un ceppo di Escherichia coli, fortemente resistente a molti farmaci.
Nell’analizzare il batterio, i ricercatori hanno individuato la compresenza di 15 geni differenti, che gli conferirebbero questa resistenza. I numerosi geni sono concentrati in due elementi mobili ed in grado di trasferirsi da un batterio ad un altro; proprio uno di questi due elementi contiene il gene mcr-1.
La scoperta del gene MCR è avvenuta nel mese di novembre del 2015 in diverse aree della Cina, ad opera di alcuni scienziati cinesi e britannici.
Il fatto, quindi, che la donna non abbia compiuto viaggi al di fuori della Nazione negli ultimi cinque mesi, lascia ipotizzare che il batterio è stato contratto negli Stati Uniti. Gli autori dello studio affermano che “La scoperta segnala la comparsa di batteri davvero resistenti a qualsiasi tipo di farmaco”.
Quello che desta tanta preoccupazione nella comunità scientifica è la resistenza del batterio alla colistina, un antibiotico poco utilizzato a causa degli effetti collaterali che ha sull’essere umano (possibile neurotossicità) e ultima arma di difesa contro i batteri che sviluppano resistenza agli altri farmaci. Tuttavia, l’introduzione e l’uso di questo antibiotico in agricoltura per scongiurare le infezioni degli animali da carne, ne ha sviluppato la resistenza. Infatti, MCR è stato trovato anche nell’intestino di un maiale. Resta un enigma il caso della paziente americana, visto che gli Stati Uniti non utilizzano la colistina nell’agricoltura.
Fortunatamente, MCR non essendosi legato con altri geni resistenti agli antibiotici, può essere trattato. Il ceppo di Escherichia coli presente nella donna americana è stato curato, in quanto il batterio non aveva la resistenza totale agli antibiotici, ma solo agli ESBL (beta-lattamici ad ampio spettro) e alla colistina. Tuttavia, gli studiosi avvertono che prima o poi comparirà un organismo incurabile, definito “batterio da incubo”.